Mentre la guerra infuria, in Italia le folle di appassionati si ritrovano negli stadi dove gioca la nazionale azzurra, guidata da una commissione tecnica. Dopo la parentesi dei Giochi olimpici di Stoccolma che avevano visto per la prima volta Vittorio Pozzo commissario unico non retribuito per sua esplicita richiesta, gli incontri della nazionale di calcio italiana rispecchiano l’andamento della politica europea e governativa. Un pareggio e una sconfitta con l’Austria, il meglio del calcio mondiale, l’ennesima vittoria contro la Francia per 2-0, e, a seguire, tre partite con la neutrale Svizzera, un pareggio e due vittorie per l’Italia. Il campionato di calcio di prima categoria, articolato nei due raggruppamenti settentrionale e centro-sud, non è soltanto un fenomeno sportivo, è parte integrante del tessuto sociale del paese, alimenta passioni, accende polemiche e grandi discussioni. Il 10 gennaio 1915 l’Inter scrive una memorabile pagina di storia del calcio, battendo il Vicenza con il roboante punteggio di 16-0. I neroazzurri eguagliano così il primato del Genoa che due mesi prima aveva rifilato lo stesso numero di reti agli alessandrini dell’Acqui. Sono le vittorie più larghe mai conseguite nel massimo campionato di calcio italiano, che, nella stagione in corso, è giunto alla sua diciottesima edizione. I grandi eventi politici dell’ormai imminente conflitto tra Italia e Austria segnano i giorni precedenti l’ultima giornata del girone finale. Domenica 23 maggio 1915 ci sono in calendario le gare più importanti, decisive. Il parlamento dà pieni poteri al governo per la guerra all’Austria. Tuttavia gli entusiasmi dei tifosi e degli appassionati sono comunque rivolti alle finali nazionali del campionato di calcio. Il Genoa si trova a un passo dalla conquista del titolo di campione nazionale. Si prepara ad ospitare il Torino, gli basta un pari per accedere alla finale con la Lazio e tornare ad essere il club più forte d’Italia. Ma il Torino potrebbe anche vincere. In seguito alla mobilitazione dell’esercito per criteri di opportunità si sospende ogni gara. Con questo breve telegramma, domenica 23 maggio, la Federazione Italiana Gioco Calcio comunica agli arbitri la decisione di fermare il campionato di prima categoria. Ciò, a causa dell’ormai imminente guerra. Accade qualcosa che nessuno aveva mai visto succedere: gli arbitri, trasfigurati in gravi banditori dei tempi andati, prendono la parola all’unisono sui diversi campi. Annunciano al pubblico, desideroso più che mai di distrazioni, e ai giocatori attoniti, che la festa è finita. Le giacchette nere danno pubblica lettura del comunicato con il quale la Federazione Italiana Gioco Calcio stabilisce la sospensione immediata dei tornei di ogni ordine e grado. All’inizio la gente non capisce che nel provvedimento sono incluse anche le partite del pomeriggio. Si inizia a realizzare cosa sta succedendo solo quando gli arbitri, da Nord a Sud, rientrano negli spogliatoi portando con sé i palloni. Sui maggiori quotidiani nazionali protesta il Genoa e anche la Lazio e il Football Club Internazionale. Vittorio Pozzo, direttore tecnico del Torino Football Club, squadra nella quale aveva militato per cinque stagioni prima del ritiro dall’attività agonistica, non è per niente contento. Solo 15 giorni prima della sospensione, con un gioco tutto d’attacco, l’undici granata aveva battuto in casa il Genoa per 6-1. Le corrispondenze del Corriere della Sera, della Stampa, del Messaggero, del Mattino, dell’Avanti, riportano tra le righe che l’Inter, battendo il Milan all’ultima giornata, avrebbe raggiunto il Torino e il Genoa in vetta. In questo modo sarebbe stato necessario un triangolare di spareggi prima di disputare la finalissima con la Lazio, campione del raggruppamento centro-sud. A seguito delle proteste, i dirigenti della Federazione Italiana Gioco Calcio discutono del torneo sospeso, convinti che la guerra finirà presto e vittoriosamente, nel giro di poche settimane. E così decidono che il torneo si sarebbe ultimato alla cessazione delle ostilità. La dichiarazione di guerra non è stata ancora consegnata alle cancellerie austriache e per gli italiani è già un trauma. Quando si interrompe l’attività sportiva vuol dire che gli eventi sono eccezionalmente seri. Questa è la convinzione di tutti gli sportivi. Su comando del fato, i calciatori si apprestano, così come tutti gli altri atleti italiani, a partire soldati, tingendo di grigio-verde le gradinate degli stadi. Un’intera generazione di giovanissimi si avvia al fronte. Tra le centinaia di migliaia di soldati ci sono anche i campioni dello sport, protagonisti inattesi della guerra. Tra questi Fernando Altimani, primo azzurro medaglia olimpica della marcia con il suo bronzo a Stoccolma 1912, lo schermidore livornese Nedo Nadi, Virgilio Fossati, trascinatore dell’Inter e capitano della nazionale azzurra di calcio. E, ancora, il canottiere Giuseppe Sinigaglia, vincitore dell’importantissima "Diamond’s Sculls Cup" sul Tamigi. C’è anche il gigante Erminio Spalla, il primo peso massimo italiano ad avere rilievo internazionale che si divide fra la passione per il pugilato e quella per la scultura. Vittorio Pozzo è tenente degli alpini. La sua è un’esperienza di rigore morale e di educazione all’essenzialità della vita di trincea che lo segna profondamente.Con le stellette sulla giubba il pilota modenese Enzo Ferrari fa il mulattiere e il maniscalco. Invece il mantovano Tazio Nuvolari, autista di un’ambulanza, viene ripreso da un ufficiale superiore perché con i motori non ci sa proprio fare. Anche negli altri eserciti impegnati nell’immane conflitto gli sportivi condividono il destino dei loro coetanei. I capitani delle due nazionali austriaca e italiana, Robert Mertz e Virgilio Fossati, che si erano scambiati i gagliardetti, non torneranno più a calcare i terreni di gioco. Entrambi cadono vittime del conflitto che ha coinvolto le due grandi nazioni. Per la cronaca l’incontro tra Italia e Austria era finito con un pareggio, 0-0, senza vincitori, come la guerra.
Autore: Mattia Vavassori
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